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Tentiamo, in un mare di informazioni spesso contrastanti, di osservare la realtà con senso critico, con onestà e senza sentirci depositari della verità.
Articolo diKarlWagner, Direttore delle Relazioni Esterne
presso il Centro Internazionaledel Clubdi Roma
La resilienza è un termine che è stato utilizzato sempre più nel corso dell'ultimo anno e dintorni. Il
suo uso attuale proviene dal dibattito sul clima, dove caratterizza la
capacità di un sistema di adattarsi ai cambiamenti indotti dal
riscaldamento globale.
In senso più generale la resilienza è la capacità di un sistema di
rimanere entro certi limiti ovvero di mantenere l'equilibrio, nonostante le fluttuazioni causate dalle forze
esterne. È
un sinonimo per definire la capacità di ammortizzare gli attacchi esterni, e una
caratteristica necessaria di qualsiasi tipo di sistema. I laghi dotati di un sistema tampone alcalino, per esempio, seppero resistere, negli anni ottanta, alla
acidificazione causata dalle piogge acide, mentre laghi meno alcalini e sensibili della Svezia meridionale si acidificarono e divennero privi di forme di vita superiori.
Il
nostro mondo è fatto di diversi sistemi interconnessi: i sistemi
naturali, i sistemi sociali, i sistemi finanziari, i sistemi economici, i
sistemi industriali e molti altri.
Quando
il sistema finanziario è quasi collassato, si è visto cosa
significhi quando un sistema globale non ha una resistenza intrinseca per
agire da tampone contro le fluttuazioni. Il
sistema finanziario ha dovuto essere salvato a spese della resilienza
del sistema economico e dei soggetti interessati (perdita di risparmio
significa perdere la resistenza contro le malattie e gli infortuni) e di
(per lo più piccole) imprese.
L'effetto
del crollo del sistema finanziario è stato un grande maremoto che ha attraversato il
mondo intero e che ha colpito le imprese più grandi: nel 2008, gli
amministratori delegati di due delle tre grandi case automobilistiche
degli Stati Uniti, General Motors e Chrysler, sono andati a Washington per
chiedere aiuti finanziari per le rispettive società quasi fallite. E,
stranamente, l'amministratore delegato di Ford, la terza casa
automobilistica più grande degli Stati Uniti, li ha accompagnati supplicando il presidente perchè salvasse isuoi concorrenti, il tutto ben
documentato nel bellissimo libro di Barry C. Lynn “Cornered- The New Monopoly Capitalism and the Economics of Destruction“.
Lynn è sconcertato: era stato allevato nella convinzione che la Ford sarebbe stata felice, quando i suoi concorrenti fallivano. Ma
quello che era successo era che l'industria automobilistica era
diventata "orizzontalmente integrata", in modo che tutti i costruttori di
automobili potessero comprare le parti di automobili dagli stessi fornitori, per cui se
due grandi case automobilistiche uscivano dal business, tale sorte sarebbe spettata anche alla
produzione di componenti e di conseguenza alla terza casa automobilistica.
Lynn
ha svolto ulteriori ricerche e ha scoperto che questo "monopolio" ha avuto luogo
nella maggior parte del settore nel corso degli ultimi 10-15 anni,
soprattutto attraverso fusioni e acquisizioni, e in gran parte è passato
inosservato da coloro che non hanno familiarità con uno specifico
settore industriale. Ciò ha portato a un campo da gioco industriale dominato a ogni livello da un gruppo molto ristretto di aziende. Questa
tendenza, di cui l'industria e il settore finanziario sono così
orgogliosi, ha ridotto la diversità a tutti i livelli della produzione e
del commercio, e con essa la capacità di recupero dei sistemi
industriali. Questo ha creato una situazione, in cui o tutti stanno in piedi o cadono tutti insieme, come abbiamo visto nel mondo della finanza.
Lo stesso problema accade probabilmente nei sistemi sociali. Una
volta che una forma sociale viene drenata tramite un attacco causato da valori essenzialmente egoistici, è soggetta al collasso e quando si blocca,
i tassi di criminalità, la diffidenza e la miseria umana crescono. La monopolizzazione
e la centralizzazione hanno lo stesso effetto: se ci riscaldiamo con il
gas russo, poi tutto quello che succede in Russia potrebbe portare a un inverno freddo
in Europa. D'altra parte, un sistema energetico decentralizzato fungere da cuscinetto contro qualsiasi tipo di evento. Quindi si dovrebbe cercare di rendere il nostro sistema energetico resiliente.
Stiamo
probabilmente osservando un fenomeno potenzialmente molto pericoloso, e fino ad
oggi, nemmeno riconosciuto: il metodo attuale dell'umanità di trattare i sistemi è quello della continua riduzione della loro capacità di tampone contro le combinazioni di eventi,
anche strane e insolite, e ciò aumenta la probabilità di incidenti globali, che interessano interi sistemi in tutto il mondo.
La Terra era un mondo meravigliosamente complesso prima che l'uomo diventasse la specie dominante. Sembra
che questa specie dominante stia cercando di eliminarsi
sostituendo la naturale complessità, che garantisce la stabilità, con una banalizzazione seguita da una complicazione, che danno luogo a instabilità.
Dobbiamo preoccuparci del cambiamento climatico e non della crescita economica o di al-Qaeda.
L'uragano Sandy sembra proprio un fatto "calzante" per gli States.
La Nazione che utilizza la maggior parte del petrolio, che ha prodotto la maggior
quantità di emissioni di biossido di carbonio, e che, per decenni, ha sempre negato l'esistenza del
cambiamento climatico, ha ricevuto lo schiaffo necessario. Con decine di morti,
le principali infrastrutture crollate e miliardi di dollari di danni, l'uragano Sandy
è stata la sveglia di cui l'America aveva bisogno. Più di tutto, è stato un evento su cui tutti noi dobbiamo prestare attenzione. E' ora di smettere di sprecare soldi per
le guerre finte e di iniziare a spendere per proteggerci da una minaccia assai
più grave.
Nel mese di ottobre 2012, ho partecipato alla Assemblea Generale del Club di
Roma, a Bucarest. Sono stati presentati i dati più recenti sugli effetti
del cambiamento climatico, ed erano terrificanti. Previsioni fatte solo cinque anni fa
si sono rivelate completamente sbagliate. Nel 2007, gli scienziati avevano stabilito che l'Artico sarebbe stato privo di ghiaccio entro la fine
di questo secolo. Tuttavia, al ritmo attuale di fusione, l'Artico sarà privo di
ghiaccio durante l'estate, a partire dal 2015, e sarà completamente privo di ghiaccio, tutto l'anno a partire dal 2030.
Ad ogni buon conto, questa non è la preoccupazione principale, poichè si parla di ghiaccio
galleggiante. Quando si scioglie non aumenta il livello del mare. La vera
preoccupazione è la banchisa della Groenlandia, il cui tasso di
scioglimento è senza precedenti. Se scompare anche gli effetti saranno
catastrofici. I livelli dei mari di tutto il mondo si alzeranno di sei o sette
metri, distruggendo città come New York, Londra e Shanghai. L'aggiunta di tanta
acqua fredda dolce nei mari modificherà le correnti oceaniche e i modelli metereologici in modi che si riesce a malapena ad immaginare. Nello stesso tempo,
l'aumento delle temperature nell'emisfero settentrionale portano a rischio di fusione
gran parte del permafrost siberiano, e questo porterà al rilascio di enormi quantità di
metano intrappolato nei ghiacci, accelerando ulteriorimente la velocità del cambiamento climatico. Questo rischia di avviare una reazione a catena, che non potremo fermare.
Gli effetti di ciò che stiamo facendo al Pianeta sono tutti intorno a noi. Dalle
tempeste e inondazioni di quest'anno, alla siccità record. Dal 1980, il
numero di catastrofi naturali è aumentato da una media di 400 volte l'anno, adesso quasi
1000, secondo Munich Re. Ironia della sorte, il Nord America è uno dei luoghi più colpiti dagli "eventi meteorologici estremi" rispetto altrove.
Abbiamo bisogno di apportare modifiche urgenti al nostro modo di vivere, se
si vuole evitare una crisi. I cambiamenti previsti adesso non riguardano soltanto i
nostri figli e nipoti, riguardano tutti noi.
Quando pochi anni fa si fecero delle previsioni, gli scienziati dissero che sarebbe andato tutto più o meno bene se potevamo limitare l'aumento della
temperatura media globale a 2° C. Eppure, quel bersaglio l'abbiamo già mancato, perchè non abbiamo fatto nulla per fermare il danno che stiamo facendo, con la conseguenza che la
quantità di gas effetto serra che viene rilasciato in atmosfera ha continuato a crescere.
Senza un cambiamento, ora stiamo andando verso una 4° C di aumento, ovvero la temperatura media della Terra tornerà ai livelli di 40
milioni di anni fa. Questo farà sì che l'Antartide si sciolga un po' troppo e il livello del mare cresca di 60-70 metri. Le siccità e inondazioni che intanto si verificheranno durante questa strada, renderanno il Pianeta virtualmente inabitabile.
Questi cambiamenti sono accaduti e stanno accadendo, sebbene ripetutamente negati e ignorati, e nel frattempo abbiamo combattuto due guerre senza senso. La prima è stata
la lotta per la Crescita. I governi di tutto il mondo hanno speso migliaia di
miliardi, cercando di sostenere le loro economie, per farle crescere e mantenere i consumi. Nel fare ciò siamo stati indirizzati a scavare sempre più materie prime nel Mondo e consumare cose di cui non avevamo bisogno, così facendo abbiamo apportato modifiche al clima anche peggiori.
La seconda guerra senza senso è stata la guerra al terrorismo. Secondo uno studio
condotto dalla Brown University lo scorso anno, il costo in America nei primi
dieci anni dopo l'unidici settembre è stato intorno ai quattro
trilioni di dollari (un trilione è un miliardo di miliardi n.d.r.). Ancora più trilioni sono
stati spesi in Europa e altrove. Durante tutto questo tempo, ci sono stati solo
251 decessi legati al terrorismo nel mondo sviluppato e nessuno negli Stati
Uniti.
Nello stesso periodo, decine di migliaia di persone sono state uccise
dai cambiamenti climatici. Secondo Munich Re, 30.000 persone sono state uccise
nel solo Nord America, tra il 1980 e il 2011 a causa di eventi meteo
correlati.
Per più di un decennio siamo stati a caccia del demone sbagliato. La più grande
minaccia alla nostra esistenza non è la mancanza di crescita economica, né
al-Qaeda.
E' la Terra stessa.
A meno che non si impari a trattarla con rispetto,
e a iniziare a rispondere ai segnali che ci sta inviando, la Terra ci estinguerà tutti.
Graeme Maxton
Siamo a pochi giorni dalla elezione del nuovo presidente degli U.S.A. (il 45esimo). Nè Obama, nè Romney brillano molto per attenzione al PROBLEMA del cambiamento climatico.
Monti era in Afghanistan il 4 di novembre, per facilitare relazioni economiche, visto che quel Paese è pieno di materie prime (ancora scavare e scavare e scavare...).
Non so se qualcuno di voi, per causa di malattie è stato obbligato a stare a casa, e non potendo fare altro (se uno sta male, sta male) si è messo a guardare i telefilm tedeschi di Rosamunde Pilcher.
Dei disgustoni papponi inguardabili, una specie di aggiornamento delle storielle di Liala.
Storie con problemi di ricchi, un Mondo fatato, dove i lussi e gli agi sono sempre previsti come dati di fatto.
Ho sempre meno tempo, e mi rendo conto che ci stanno fregando rubandoci il Tempo, che è sempre di meno.
Ho letto una intervista fatta a Dennis Meadows del febbraio 2012. Dennis Meadows coordinò il team di sedici ricercatori del MIT di Boston su incarico del CLUB DI ROMA, idea del grande Aurelio Peccei. Nell'intervista emerge un punto fondamentale: se nel 1972 si poteva rallentare la crescita e organizzarsi in una società equa, pacifica e ben distribuita (in fondo eravamo "solo" 4 miliardi di umani), adesso, dice Meadows "ci aspetta un periodo di decrescita incontrollata che ci porterà verso un equilibrio che non siamo in grado di prevedere". Adesso siamo già oltre 7 miliardi e con bisogni, magistralmente orchestrati dal marketing, che non potrebbero essere soddisfatti nemmeno con 100 volte il PIL MONDIALE.
Meadows sostiene che il "Rapporto sui limiti alla crescita" del marzo 1972 non voleva essere una banale dimostrazione che "in un mondo di risorse finite ci fossero dei limiti alla crescita poiché era evidente". Anche se questa evidenza non si evince dalle scelte dei decisori politici di allora e attuali.
Continua Meadows nella intervista che i messaggi , come fu il loro nel 1972, che obbligano a riflessioni, non sono accettati.
Negli anni settanta la frenesia esponenziale era così forte che non poteva essere colta la previsione di quel messaggio: se popolazione e industrializzazione crescono in modo esponenziale si arriverà quanto prima al limite.
Negli anni ottanta il messaggio fu abbandonato nel mare di TROPPO che abbiamo cominciato ad avere, anche singolarmente (ovviamente parlo di quel miliardo di persone che non muore di fame o di diarrea o di guerra): macchine, moda, viaggi di lusso e non di conoscenza. Ecco casomai la conoscenza era su una strada inversamente proporzionale, noi italiani siamo diventati particolarmente ben vestiti e truccati e particolarmente rozzi e superficiali.
Negli anni novanta cominciarono a emergere seri problemi ambientali ma, garruli e sciocchi, gli umani si son dati una risposta digeribile: risolveremo tutto con la tecnologia e con il "libero mercato". Sulla tecnologia esiste il Paradosso di Jevons come risposta a quanto serva la tecnologia abbinata alla mente esponenziale.
Negli anni del nuovo secolo, i famigerati anni 2000 della Crisi di Tutto (ma la Crisi è nata con la Rivoluzione industriale, e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la globalizzazione degli effetti sull'ambiente sono diventati evidenti perlomeno nelle aree come Gran Bretagna - dove fu costruito nel 1870 il primo inceneritore a Paddington - e U.S.A. dove tale rivoluzione era partita per prima) dice Meadows, visto che mercato e tecnologia non hanno dato i buoni risultati necessari, ecco che la fissazione è stata sul PIL e conferma dicendo che "nel 2010 si è iniziato a sostenere che se fossimo stati in grado di controllare la crescita non ci si sarebbe dovuti confrontare con questi problemi".
SI PUÒ ANCORA PARLARE DI "SVILUPPO SOSTENIBILE"?
Secondo me "sviluppo sostenibile" è un ossimoro, preferisco parlare di SOSTENIBILITÀ, una scelta più condivisibile rispetto all'avidità dell'essere esponenzialmente finanziario del libero mercato.
Meadows così risponde: "Oggi è più che mai necessario fare il possibile per metterci sulla strada della sostenibilità. Bisogna comprendere i fatti, affrontarli con realismo. ma ci comportiamo come se i cambiamenti tecnologici possano sostituire quelli sociali, Che bisognerebbe fare? Non confidare nel tempo a disposizione, ADOTTARE PROVVEDIMENTI IMPOPOLARI ma necessari per affrontare la fase di declino. Per esempio ridurre le attività industriali per rallentare i cambiamenti climatici o aumentare il costo del petrolio per evitare il collasso quando non ce ne sarà più. Andare verso uno sviluppo sostenibile è come cambiare abitudini acquisite nel tempo: comporta una riflessione, probabilmente si commetteranno errori. All'inizio è scomodo, ma possibile." Intervista tratta da "La nuova ecologia" aprile 2012 Daniela
Cliccando qui arriverete a un interessante video del Club of Rome, dedicato al PICCO DEL PETROLIO.E' in inglese ma ha anche i sottotitoli in inglese e quindi è mediamente comprensibile.
Il Club di Roma conquistò l'attenzione dell'opinione pubblica con il suo LIMITI ALLO SVILUPPO (12/03/1972) che ragionava sul fatto che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente PETROLIO, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. Il libro originale si chiamava LIMITS TO THE GROWTH malamente tradotto in italiano come I LIMITI ALLO SVILUPPO (GROWTH vuol dire CRESCITA), è stato edito con lo scopo di fornire ai leader mondiali che si apprestavano a incontrarsi nella terza Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (aprile 1972 a Santiago del Cile) e soprattutto la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (giugno a Stoccolma) degli strumenti concettuali assolutamente fondamentali per decidere il futuro dell’umanità. L'ideatore fu Aurelio Peccei, torinese, alto dirigente Fiat, antifascista, fondatore dell'Alitalia, rimise in sesto l'Olivetti e fondò l'Italconsult. Un dirigente d'azienda, non un ecologista, un cosmopolita e competentissimo fondatore e direttore, in America Latina, una delle più fortunate filiali estere della Fiat. Alla fine degli anni ‘50 Peccei decise di dedicare una parte del suo tempo “alla riflessione sui bisogni e sulle prospettive umane” con la precisa volontà di fare qualcosa di concreto anche in questo campo. Il risultato è stato LIMITS TO THE GROWTH, un libro odiato ubiquamente proprio perchè ebbe successo immediato. Fanfani, seppure in modo superficiale, lo portò in Senato, ma dopo, già negli anni Ottanta, quelli della Milano da bere, il libro fu dimenticato nella ressa della crescita dei consumi, a cui seguirono negli anni Novanta l'apertura ai mercati dell'Est dopo la caduta del muro di Berlino e l'arrivo dei BRICS, principalmente la Cina. C'era ancora spazio di "crescita economica". E nel dibattito che un po' segui l'uscita del libro (semplice da leggere) ci fu una presa unanime di ostracismo nei suoi confronti.In sintesi la Chiesa non lo sopportava perchè predicava la riduzione della natalità e per lo stesso motivo lo odiarono Indira Gandhi e altri leader; i capitalisti italiani con il Sole24ore non accettavano che le sue idee potessero ridurre i margini dei loro guadagni per ridurre l'inquinamento che obiettivamente creavano su tutto l'ambiente (le chiamano esternalità, ovvero i guadagni sono loro e i rischi di tutti); la destra pseudo cristianfanatica lo odiava sempre per la questione della natalità oltre del fatto che avevano preso le sue TENDENZE come PREVISIONI (adesso si può dire che le TENDENZE si sono verificate). La sinistra, sia quella moderata e sia quella oltranzista, si fecero sopraffare dalla ideologia del buon operaio che salva l'ecologia quando andava bene, e sennò lo definì un libro odioso perchè fatto da dirigenti d'azienda e da industriali e quindi IL NEMICO. L'Italia politica e intellettuale non comprese l'importanza del libro, un libro che dava prospettive sul futuro, analizzando un presente già chiaramente in declino fin dagli anni sessanta. Gli anni settanta furono gli ultimi anni di vero dibattito democratico (il grande Pasolini era lì), ma provinciale, e con una visione corta del PROPRIO FUTURO, l'Italia allontanò da sé un italiano geniale e competente come Peccei (nemo propheta in patria). Io credo che si perse una occasione, importante per comprendere meglio l'evoluzione civile dell'Italia (e del Mondo, ma qui parlo dell'Italia).La mia generazione, nata nei sessanta, avrebbe avuto più occasioni di vivere in un mondo migliore e soprattutto avrebbero avuto più occasioni quelli nati dopo di me, nei settanta e ottanta e così via. Capire dove il Mondo stava andando a quel livello di crescita indiscriminata sarebbe stato importante, avrebbero potuto essere prese decisioni IN TEMPO, e non adesso CON L'ACQUA ALLA GOLA. E non credo che le TESTE PARZIALI capiscano che siamo con l'acqua alla gola. PER CHI vuole saperne di più veda "I LIMITI DELLO SVILUPPO IN ITALIA - CRONACHE DI UN DIBATTITO 1971-74 di Luigi Piccioni e Giorgio Nebbia" sul sito di Greenreport che ringrazio.
Pasolini, morto da oltre 36 anni, diceva che la civiltà dei consumi era riuscita a omologare e a far sparire le mille particolarità dell’Italia meglio e di più del Fascismo.
L’esplosione dei mass media e la “responsabilità delittuosa della televisione” hanno provocato una tale degradazione antropologica per cui risulta normale l’anormale, giusto lo squilibrio, sano il malanno.
Lui vide negli anni sessanta la costruzione del modello che, pur avendolo intuito, non potrà vedere in tutte le sue nefandezze. Il modello politico borbonico diffuso in tutta Italia, la distribuzione di cariche politiche e dirigenziali per amicizie e adulazioni e non per capacità e merito.
La cultura bassissima italiana, quella del dopoguerra, che a Pasolini piaceva perchè incorrotta, è diventata una cultura media ovvero mediocre che non riesce a superare le corruttele intrinseche della sua mediocrità e a svilupparsi verso l’altissima.
Pasolini odiava la parola CRESCITA lui usava la parola sviluppo. Il Club di Roma scrisse un libro fondamentale per la civiltà umana nel 1972, LIMITS TO THE GROWTH, che in Italia è stato scorrettamente tradotto con LIMITI ALLA CRESCITA.
Uno dei limiti allo sviluppo è che le risorse non sono infinite.
L’aria è un tot, e il terreno emerso abitabile pure, e così l’acqua dolce.
L’Italia è un territorio fragilissimo, delicato, sismico e con grossi problemi idrogeologici.
Tuttavia nel suo territorio si è stratificata una preziosa civiltà con manufatti, modelli insediativi, infrastrutture.
La popolazione con le sue attività modella l’ambiente, ma lo può fare fino a un certo punto. La popolazione è sottoposta a necessità ineludibili, come mangiare, ripararsi e riprodursi. Si scontra e vive dentro l’Ambiente di cui fa parte e certo non può fare nulla contro le calamità naturali.
Che esistono da sempre e che da sempre portano distruzioni ai modelli insediativi antropici.
Ma la civiltà è cresciuta, avrebbe dovuto sapere come evitare il grosso dei disastri, perlomeno evitare che in una città importantissima quale è Genova succedessero miserie da terzo mondo.
A Genova basta che piova un po' e tutto si blocca, a Genova nel 1975 morirono per un disastro simile 35 persone.
Io amo Genova, per vari motivi che non sto ad elencare. È bellissima e fragilissima.
È situata in una regione altrettanto fragilissima e delicatissima, una mezzaluna lunga lunga, tutta montagne boscose frammentata da gallerie e ponti e una costa frastagliata completamente e barbaramente cementificata.
Un paradiso esposto a sud, vicino al mare e vicino alle montagne, talmente trasformato da renderlo irriconoscibile. Un fetta di luna scoscesa sul mare, dove scorrono molti piccoli ripidi torrenti, quasi sempre vuoti, ma se piove, lo sanno anche i bimbi, si riempiono di acqua.
E l'acqua per legge di natura scorre veloce in un terreno ripido, più veloce se la capacità di assorbimento è minima e se l’alveo occupato ne stringe l’ampiezza.
Come quando innaffiamo il giardino con la gomma d’acqua, se vogliamo rendere il flusso più veloce, stringiamo la gomma.
L’acqua è l’elemento più forte del Pianeta e quindi corre veloce e trasporta tutto quello che incontra. Senza difficoltà alcuna.
Ecco cosa è successo nella bellissima Genova.
Ecco cosa succederà sempre di più nel nostro Pianeta.
Siccità e inondazioni, estati troppo lunghe, niente pioggia per mesi, poi tutta la pioggia di quattro mesi in 13 ore. Genova.
E il caldo, perché adesso fa caldo, molto sopra la media, ma siccome piove, e di brutto, i meteorologi da strapazzo non dicono bel tempo, ma ascoltate appena spunta il sole cosa dicono. Asini.
Il global warming è qui.
Ma i nostri politici (italiani e non) sono altrove, a giocare con i pecuniocefali che li comandano a bacchetta.
Berlusconi non si cura di Genova, lui sta per saltare. Al limite dice che è colpa di chi ha costruito dove non doveva.
Peccato che a dire queste parole sia colui che ha fatto fare più condoni edilizi di Satana. Addirittura ne ha inventato uno per i suoi abusi in vincolo paesaggistico. Un tipo di condono inammissibile dalla Costituzione.
Pasolini avevi ragione, per quello ti hanno zittito.
È la prima dichiarazione ambientalista che si conosca.
Il primo concetto di “sostenibilità” scritto e declamato.
Nel 1972 nacque il Club di Roma che produsse il celebre “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, meglio conosciuto come “Rapporto Meadows”, dal nome del professore del MIT che ne fu il co- autore.
Nell’aprile del 1968, un piccolo gruppo internazionale di professionisti provenienti dai campi della diplomazia, dell’industria, dell’accademia e della società civile si incontrarono in una villa di Roma, invitato dall’industriale italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King. A questo gruppo di professionisti fu chiesto di trattare il tema della crescente preoccupazione internazionale del consumo di risorse. Il rapporto Meadows mise a fuoco tali preoccupazioni e iniziò a dare qualche risposta. Nel 2008, dopo 40 anni dal primo Rapporto, il club di Roma ha
redatto un altro Rapporto “Una nuova strada per lo sviluppo internazionale” con uno spirito ancora più preoccupato sulle sorti del pianeta Terra.
Il pianeta non è infinito, e nemmeno le sue risorse, anzi lo sfruttamento depredante nato con la Rivoluzione industriale aveva cominciato a dare i suoi frutti marci, con inquinamento, carenza di risorse rinnovabili e una marea gigante di rifiuti.
Prima della Rivoluzione industriale, gli uomini ebbero il senso della scarsità, della limitatezza delle risorse rispetto alla portata delle proprie necessità. Tutto quello che era disponibile doveva essere usato, e nulla o quasi andava sprecato. Le tecnologie erano limitate e dunque i prelievi dalla natura erano altrettanto limitati, e il riuso di ciò che si aveva era una necessità. Il concetto di rifiuto è nato con la Rivoluzione Industriale, quando il ciclo della materia, l’uso delle risorse si è staccato dal senso profondo della Natura per collegarsi invasivamente alla rendita finanziaria e al profitto.
La Rivoluzione Industriale, cominciata alla fine del Settecento, ha fatto entrare l’umanità in un’altra logica, quella dello sfruttamento e dell’uso apparentemente illimitato di risorse rinnovabili. L’evoluzione delle tecniche ha permesso di andare sempre più veloci, sempre più in profondità.
Bastava scoprire e sfruttare. Ecco perché i rifiuti che crescevano parallelamente a una urbanizzazione selvaggia e desertificante sono diventati immondizie, fastidio. Il prefetto Poubelle impose a Parigi nel 1884 l’uso del bidone della spazzatura, per nascondere, sotterrare, o in ogni caso distruggere. Sparirono boschi, foreste e campi e relative creature animali ivi viventi, iniziò la desertificazione.
Serviva un controllo da parte dei Governi, leggi che proteggessero l’ambiente.
Nella ricca e florida Europa ci si ricorda ancora come sono nate le normative antinquinamento, a protezione dell’ambiente?
Emblematico fu il caso di Londra nel 1952, noto come "The Great Smog of London": dal 5 all’8 dicembre 1952, grazie anche alla presenza di una particolare condizione meteorologica denominata “inversione termica”, la capitale britannica fu avvolta da una coltre di smog che provocò la morte di 4000 persone in una sola settimana e alla fine il conto portò al numero altissimo di 12000 persone.
"Lo smog arrivò ovunque. A teatro la Traviata venne interrotta dopo il primo atto perché nella sala non si vedeva nulla, la gente camminava appoggiata ai muri non solo in strada ma perfino negli ospedali. In alcuni quartieri la nebbia era talmente fitta che le autorità consigliarono ai genitori di non uscire di casa insieme ai figli, c´era il rischio di perderli."
Negli anni sessanta sorse il movimento ambientalista, annunciato dal libro del 1962 “Silent Spring” di Rachel Carson e sulla cui scia si inserì il Club di Roma.
L’allarme inquinamento e scarsità di risorse si amplificò negli anni successivi. I paesi industrializzati cominciarono ad analizzare gli effetti sinergici di incremento demografico globale, inquinamento, consumismo e scarsità di risorse. I paesi in via di sviluppo divennero il bidone delle immondizie dei paesi ricchi e contemporaneamente la loro riserva di risorse, facendo si che in questi paesi, poveri, privati delle risorse elementari quali per esempio l’acqua, credessero che solo la crescita economica e lo sviluppo potessero rispondere alla richiesta di miglioramento delle loro condizioni di vita.
La prima presa di coscienza della necessità di valutare i limiti del pianeta e quindi quelli della razza umana apparvero con la Commissione mondiale delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, la cosiddetta Commissione Brundtland (1987) che per due anni lavorò per provare a risolvere il conflitto fra tutela dell'ambiente e sviluppo economico. La commissione giunse alla conclusione che l'approccio allo sviluppo avrebbe dovuto mutare e divenire sostenibile, ovvero:
"Lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità"
Un’altra definizione “storica” fu quella formulata nel 1991 in “Caring for the Earth: A Strategy for Sustainable Living”:
“Lo Sviluppo sostenibile è il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che ci sostengono”
Nello stesso anno Herman Daly ricondusse lo sviluppo sostenibile a tre condizioni generali concernenti l'uso delle risorse naturali da parte dell'uomo:
· il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;
· l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso;
· lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo.
Tale definizione risulta essere la più usata perché meno antropocentrica e più oggettiva. Non a caso è anche riportata nel Rapporto Finale del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) del 18 maggio 2005 denominato “Indicatori per lo Sviluppo Sostenibile”.
La Conferenza di Rio de Janeiro o UNCED (United Nations Conference on Environment and Development, del 3-14 giugno 1992 stilò una Dichiarazione composta da 27 principi che delineò ulteriormente il concetto di Sviluppo Sostenibile, integrando i temi dello sviluppo (economico-sociale) e dell’ambiente.
Nel 1994, l'ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) fornì un'ulteriore definizione di sviluppo sostenibile:
“Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi
naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi”.
Nel 2001, l'UNESCO ampliò il concetto di sviluppo sostenibile indicando che "la diversità culturale è necessaria per l'umanità in quanto la biodiversità per la natura (...) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale". (Art 1 e 3, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001).
Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile o WSSD (World Summit on Sustainable Development) tenuto a Johannesburg, in Sud Africa, dal 2 al 4 settembre 2002 integrò le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale e la protezione ambientale.
Il Codice dell’ambiente, ovvero il Decreto Legislativo 152/2006 e successive modifiche, all’articolo 3-quater, parte prima, definisce lo sviluppo sostenibile ciò che garantisce il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future, nella prospettiva di salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane.
Come si può notare lo sviluppo sostenibile o la sostenibilità prevede sempre una crescita economica o almeno una sua stabilizzazione che corra parallelo alla protezione dell’ambiente. Ma la crescita indefinita mi ricorda il cancro maligno, perché tutto il resto su questo pianeta nasce cresce e muore, sostituendosi energeticamente con altre forme.
Questa teoria di sviluppo sostenibile come continua crescita ha trovato forti oppositori, primo tra tutti Serge Latouche, economista e filosofo francese, professore di Scienze economiche all'Università di Parigi che sostiene:
“Sviluppo sostenibile” sostiene che tale frase sia un’impostura, un ossimoro come dire - una luce oscura - dal momento che lo sviluppo, che l'unico sviluppo che noi conosciamo, è quello che è sorto nella seconda metà del 700 in Inghilterra, dalla rivoluzione industriale e cioè una guerra economica contro gli uomini e degli uomini contro la natura. E' impossibile chiedere allo sviluppo di essere "sostenibile", è contro la sua stessa sostanza.
Latouche è uno degli avversari più noti della occidentalizzazione del Pianeta e un sostenitore della decrescita conviviale e del localismo.
Anche Paul Hawken con il suo libro “Blessed unrest” (tradotto in Italia come “Moltitudine inarrestabile”) parla di sostenibilità, e lo fa delicatamente, dicendo che lo sviluppo sostenibile è dove non cresce la quantità di beni ma la capacità di goderne, e parla della “risposta immunitaria del pianeta” composta dagli attivisti ambientali, da chi si comporta con giudizio e buon senso e rispetta l’ambiente. Da tutti noi. Se riusciamo a ritrovare il libretto delle istruzioni dell’utilizzo del pianeta dove pare che si dica “non avvelenare l’acqua, il suolo, l’aria e non toccare il termostato”, saremo salvi.
E lui è ottimista.