domenica 4 marzo 2012

SEMPLICE BUON SENSO



Luis Sepùlveda è uno dei miei autori preferiti. Ciò che scrive, con grande ironia e sense of humour, l'ha vissuto sulla sua pelle, mantenendo un alto profilo di integrità democratica e non violenza. Traggo un racconto da uno dei suoi splendidi libri "LE ROSE DI ATACAMA" che sono i fiori nell'immagine. Il buon senso della vera umanità potrà salvarci dalla attuale follia fatta di opere strategiche e sempre meno democrazia.
Un tal Lucas
Man mano che si avvicina alla cordigliera delle Ande, il versante argentino della Patagonia diventa di un verde sempre più intenso, come se il fogliame degli alberi sopravvissuti alla voracità dell'industria del legno volesse dirci che nonostante tutto la vita è possibile, perché ci sarà sempre un pazzo o molti capaci di vedere più in là del naso del lucro.
Uno di questi è Lucas, o un tal Lucas, come lo chiama, parodiando Cortàzar, la gente che vive vicino al lago Epuyén.
Quando nel 1976 e 1977 i militari argentini scatenarono ogni orrore contro chiunque si discostasse dal modello che loro stessi si erano inventati per il bene della patria, Lucas e un gruppo di ragazze e ragazzi cercavano rifugio nella lontana Patagonia.
Erano gente di città, studenti, artisti e molti di loro non avevano mai visto un attrezzo agricolo, ma vi si trasferirono ugualmente portando con sé i propri libri, i propri dischi e i propri simboli; avevano una sola idea in testa: azzardarsi a ideare e a mettere in pratica un modello di vita alternativo, diverso, in un paese dove la paura la barbarie uniformavano tutto.
Il primo inverno, come tutti gli inverni patagonici, fu duro, lungo e crudele. Gli sforzi per coltivare gli orti non permettono loro di rifornirsi a sufficienza di legna, e non ebbero neppure il tempo di calafatare le giunture dei tronchi delle capanne che avevano costruito. Il vento gelido si infilava dentro da tutte le parti. Era un pugnale di ghiaccio che rendeva ancora più brevi i giorni australi.
I pionieri, i ragazzi di città, si trovarono così ad affrontare un nemico ignoto imprevedibile, e lo fecero nell'unico modo che conoscevano: discutendo collettivamente per arrivare a una soluzione. Ma i discorsi, per quanto pieni di buone intenzioni, non fermavano il vento e il freddo mordeva loro le ossa senza pietà.
Un giorno, quando le provviste di legna ormai erano agli sgoccioli, alcuni uomini dai gesti lenti si presentarono in quelle capanne malamente costruite e senza tanti discorsi scaricarono la legna che portavano sui loro muli, accesero le stufe si dedicarono a tappare le fessure.
Lucas ricorda che li ringraziò e poi chiese perché si davano tutta quella pena.
Perché fa freddo. Perché sennò? rispose uno dei salvatori.
Quello fu il primo contatto con i paesani della Patagonia. poi ce ne furono altri, e altri ancora, e pian piano i ragazzi di città impararono i segreti di quella regione bella violentemente fragile.
Trascorsero così i primi anni. Le capanne costruite nei pressi del lago Epuyén divennero solide e accoglienti, le terre circostanti si trasformarono in orti, ponti sospesi permisero di attraversare torrenti e infine, grazie alle lezioni dei paesani, Lucas e i suoi compagni si trasformarono in custodi dei boschi che nascono sulle rive del lago per poi coprire tutte le pendici dei monti.
Nel 1985, con le grandi foreste del versante cileno sterminate dall'industria del legno giapponese, anche la parte argentina della Patagonia conobbe gli orrori del progresso neoliberista: le motoseghe iniziarono a tagliare lecci, roveri, querce, castagni, alberi di oltre trecento anni e arbusti che raggiungevano a stento metro di altezza. Tutto finiva nelle fauci delle trituratrici, che trasformavano il legno in schegge, in segatura facile da trasportare in Giappone. Il deserto creato sul versante cileno si estendeva fino alla Patagonia argentina.
Il modello economico cileno argentino è la grande vittoria delle dittature. Le società cresciute nella paura accettano come legittimo tutto ciò che proviene dalla forza, sia delle armi sia del capitale. Nei pressi del lago Epuyén, niente e nessuno sembrava capace di opporsi al sinistro rumore delle motoseghe. Ma Lucas Chiappe, un tal Lucas, disse no e decise di parlare in nome dei boschi alla gente che vive al sud del 42º parallelo.
Perché vuoi salvare il bosco? gli chiese qualche paesano.
Perché bisogna farlo. Perché sennò? ribatte Lucas.
Così, sfidando qualsiasi ostacolo e sopportando minacce, pestaggi, arresti, diffamazioni nacque il progetto Lemu, che in lingua mapuche significa bosco.
A Buenos Aires li chiamano "quegli hippy di merda che si oppongono al progresso", ma nei pressi del lago Epuyén la gente si appoggia perché un'elementare saggezza indica che la difesa della terra e la difesa degli esseri umani che abitano il mondo australe.
Ogni albero protetto, ogni albero piantato, ogni seme curato dei vivai significa salvare un secondo del tempo senza età della Patagonia. Forse domani il progetto Lemu diventerà un grande corridoio di foresta autoctona lungo quasi millecinquecento chilometri. Forse domani gli astronauti dallo spazio potranno vedere una lunga, splendida linea verde accanto alla cordigliera delle Ande australi.
Allora, forse qualcuno dirà loro che tutto ciò ha avuto inizio da Lucas Chiappe, un tal Lucas, un paesano di Epuyén, laggiù in Patagonia.

11 commenti:

  1. Veramente, Daniela, mi cadono le braccia di fronte alla mancanza pressoché totale di memoria storica delle persone. Il fatto che non si impara mai dagli errori del passato mi fa scendere il latte alle ginocchia; mi getta in uno sconforto che sempre con fatica riesco a dissipare, e sempre maggiore è l'alone che mi lascia nel cuore.
    Eppure, per far andar bene le cose, sarebbe solo questione di buon senso.

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    1. Ciao Roby. Il buon senso è morto con la televisione e seppellito nella vaghezza dei social network. Fare fatica, per ricordare e studiare, è una cosa che non vuole far più nessuno. Eppure è l'unica cosa che serve per capire a fondo il senso della vita. La superficialità dilagante ci sta rendendo idioti isolati che non conoscono il senso della COLLETTIVITA', idioti che passeggiano in solitudine cliccando sugli smartphone alla ricerca di un riconoscimento che invece solo lo studio e la saggezza possono dare.

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  2. Ciao Daniela, la saggezza non è acqua, vero? Vedere che dalla storia non impariamo mai ti fa chiedere a cosa serve studiarla. Vedere queste masse lobotomizzate che vivono in uno stato di coma ipnotico e si comportano come nulla fosse quando li usano come bancomat per compiere delinquere non so se mi irrita di più o peggio provo miseria nei loro confronti. Il pezzo finisce con una frase molto bella: Così, sfidando qualsiasi ostacolo e sopportando minacce, pestaggi, arresti, diffamazioni nacque il progetto .
    Ai molto manca il coraggio oltre che l'informazione, siamo codardi? La storia che narri, Sepulveda è sempre piaciuto anche a me, la dice lunga. Io oggi ho postato un articolo sulla teoria complottista delle scie chimiche, credi che la conoscano in molti alla fine? Quanti presi dai loro casini quotidiani, procurati e generati da terze persone, non hanno tempo ne voglia di pensare?
    Ciao e stammi bene cara mia, lottare sino alla fine e essere disposti a tutto, altrimenti moriremo molto tristi e molto male!

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    1. Ciao dionisio, grazie si essere passato. La codardia è la figlia della desolante solitudine tecnologica in cui ci hanno immersi. C'è qualcuno convinto che oramai siamo talmente invischiati nella tecnologia da non poterne fare e meno e quindi adesso gli studi sociologici potrebbero basarsi su un nuovo tipo umano: il tecnopirla...
      Ma non tutti sono ancora così, inoltre 5/7 di umanità non hanno acqua da bere e quindi non hanno il tempo di fare i tecnopirla.

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    2. la codardia attuale temo che nasca dal fatto che nella ragnatela in cui viviamo invischiati gli uni agli altri senza ormai grosse possibilità di uno spazio personale valutiamo quasi inconsapevolmente ogni nostro gesto in un'ottica di 'non interferenza', nel tentativo di non essere notati e perdere anche quel minimo di indipendenza almeno mentale.In realtà chi piu' chi meno siamo abituati a quel maledetto 'quieto vivere' che lascia marcire la nostra società come una palude dove non affluisce piu' acqua corrente. Ma forse cambierà, probabilmente per necessità.Forse è inutile agitarsi tanto, per quanto ci sforziamo nessun frutto cade finchè non è maturo. Semplice buon senso.

      Daniele

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  3. Ciao Daniele. Il quieto vivere lo abbandoniamo subito nel mare anonimo del web, dove molti, nella vita reale gente che non noteresti mai, li noti per l'aggressività pesante che hanno. Forse stiamo perdendo forze così, snaturandoci nel doppio del web e lì ponendo le nostre energie, per poi essere fatui e immaturi nella realtà.
    Se dovessi accorgermi di questo chiuderei il blog. Ma finora questo blog mi ha fatto incontrare delle belle persone che conosco anche personalmente e che apprezzo soprattutto per quello che cercano di fare nella vita reale. Inutile dire di amare il Pianeta ma non essere capaci di alcuna empatia, seppure virtuale.

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  4. Bisogna immergersi per conoscere il mare, putroppo non sempre è pulito ..
    ma a volte puo' essere bellissimo , per vederlo però è necessario entrarvi, e accettare il bello e il brutto per quello che sono
    Daniele

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  5. ..ovvero capire la realtà per quella che è senza eccessive manie autoreferenziali. Un lavoro da fare quotidianamente e non facile. L'importante è capire dove è l'errore che inceppa il ragionamento o l'azione, altrimenti il buon senso va a farsi benedire.

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  6. Leggete questo articolo sulla non economicità della TAV dal punto di vista del TEOREMA THATCHER.

    Lei non si fece convincere da Mitterand a usare soldi pubblici e fece BENISSIMO.

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  7. Interessante questa storia. Il rapporto tra la teoria e la pratica. L'astrattezza, la lontananza dalla realtà di tanti dibattiti e discussioni. Bello l'arrivo deciso dei patagoni. Certo in una situazione stabile, che si ripete più o meno con le stesse situazioni anno dopo anno prevale l'importanza della pratica, ormai, più o meno è chiaro quello che bisogna fare, come affrontare la situazione, ci sono soluzioni che negli anni si sono affermate ed è inutile perdere tempo a teorizzare si fa e basta. Invece verso situazioni nuove è il contrario, si dovrebbe teorizzare, analizzare ed argomentare bene le varie soluzioni prima di agire, se si agisce e basta come si è sempre fatto essendo la situazione nuova, quella soluzione probabilmente non sarà la migliore anzi potrebbe anche peggiorare le cose.
    Teoria e pratica sono essenziali entrambe, capire come dosarle nel modo migliore è una delle sfide più difficili che si devono affrontare oggi.
    Si aggiunge poi una complicazione ulteriore ed è il fatto che non sempre chi ha la possibilità di agire (o prendere le decisioni di come agire) ha le competenze (o la volontà) per farlo nella maniera migliore e chi ha la conoscienza, non viene interpellato, non può fare niente e magari può solo denunciare l'errore che si sta facendo, ma non viene assolutamente ascoltato.

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  8. Ciao Obbie. Sull'ultimo punto mi trovi d'accordissimo. Sul discorso teoria e pratica, posso solo dirti che il limite è l'AUTOREFERENZIALITA'. Quando le cose che teorizzi non sai riportarle sul piano del reale, mi pare un fallimento bello e buono.
    E sulla Stabilità dovremmo puntare in tutti sul Pianeta, ovvero adattarci alle nuove e imminenti condizioni climatiche, riducendo il dissipamento di risorse naturali e il conseguente inquinamento e rifiuti, riducendo la causa primaria di tutto questo:NOI.
    In modo dolce, ma è da fare. Per fortuna in Italia ci siamo già, basta che a qualcuno non venga in mente di far aumentare il flusso di immigrati. Qui, nella mia provincia, sono tornati a casa da quando c'è la crisi in più di 2000. Ed è tutto regolare visto che nessuno si lamenta.

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