giovedì 25 febbraio 2010

Fortuna o Destino?


Il tessuto sociale su cui è intrecciata la trama dei rapporti tra le persone è imbevuto di qualcosa che lo fa assomigliare più ad un caos emozionale piuttosto che ad uno scambio di risorse e di opportunità, una sinergia di diverse abilità che dovrebbero aiutarsi vicendevolmente nella crescita e nell'attuazione di quella realizzazione di cui si parla nella costituzione. L'altro giorno mi è capitato di discutere con un tale sulla differenza che c'è tra fortuna e destino. Si discuteva della improbabile vincita ad un qualsiasi gioco. Lui diceva che è questione di fortuna, io sostengo che è destino. Non voglio discutere sul fatto che sia giusta la mia o la sua definizione. Ambedue hanno la loro ragione. Ma che sia la stessa cosa, come sosteneva il tizio, assolutamente no! Io credo che ognuno sia artefice del suo destino, e dietro questa affermazione voglio significare che non accetto tutto ciò che accade supinamente. Affidarsi alla fortuna è come aspettare che ti arrivi la manna dal cielo. Questo è esattamente l'atteggiamento di un popolo assuefatto dalla televisione, preda dei gratta e vinci, che non fa nulla per cambiare il corso di una storia nefanda che ci sta travolgendo, attraverso gli episodi di malaffare: mafia, corruzione, nepotismo, evasione fiscale, ruberie e crimini ai più alti livelli sapientemente mascherati, e che quando vengono scoperti suscitano, in un popolo assuefatto dalla defilippi e dal grandefratello, una tiepida, se non nulla, ma comunque sempre non adeguata risposta.

Credere, come me, nel destino, vuol dire che, rimboccandosi le maniche, ci si può adoperare per cambiarlo. Significa cercare di porre rimedio a ciò che, tanti anni di fatalismo della fortuna hanno creato, assieme all'ordito sapiente di chi è riuscito a coltivare nella popolazione questa convinzione. Come si può ancora credere che un colpo di fortuna ti cambi la vita? Non lo so. Forse la mancanza di una coscienza storica gioca, però, un ruolo importante. Certo, non manca l'esempio di quello che con un euro ne ha vinti centomila, o un milione (classica obiezione di chi crede nella fortuna), ma, voglio dire, questo contribuisce a mettere a posto il panorama nazionale, o piuttosto, come dovrebbe, fa incazzare per la mala distribuzione delle risorse? E così anche un altro schiaffo a chi vive di stenti è stato dato... Non è fortuna questa. E' il "contentino" che viene elargito per sedare gli animi, e far credere che tutto è possibile. Ma solo perché c'è chi ci crede.

Bravo! E dopo che hai vinto il tuo milione di euro cosa fai? Te ne freghi degli altri e te lo godi!!! Bravissimo! Suscitando l'invidia e l'approvazione di tanti altri, che al posto tuo farebbero lo stesso, ma che in fono in fondo ti detestano: perché tu ce l'hai fatta e loro no. AAAHH, che soddisfazione! Credo che sia proprio questo che si sta facendo: indebolire il tessuto sociale per asservirlo. La fortuna in cui crede il tale delle faccenda in esame, in parole povere, è artificio. Il destino di cui parlo io, è in divenire. E' necessario costruirsi il futuro con la fatica delle proprie mani. Chiaramente è faticoso e snervante, invece sedersi in poltrona e pensare che prima o poi ci cadrà addosso la fortuna, è comodo tanto quanto sbagliato: nei fatti sta avvenendo un peggioramento che coinvolge tutti e col quale tutti, prima o dopo, avremo a che fare. La colpa maggiore ricadrà nell'animo di chi non si è svegliato dal suo torpore, coinvolgendo nel disastro anche chi ha fatto tutto quanto gli è stato possibile per evitarlo.

Io non credo nella fortuna. Credo invece nel susseguirsi di causa ed effetto; credo che se una società matura avesse insegnato gli sbagli commessi nella storia, invece di nasconderli o riscriverli come atti ineluttabili quando non, addirittura, ridefinirli giusti (causa), ora non ci ritroveremmo a commettere di nuovo gli stessi errori ed a vanificare le poche giuste conquiste (effetto). E tu, credi nella fortuna o nel destino?

lunedì 22 febbraio 2010

Zelig



Ho capito è Zelig, in un'altra delle sue trasformazioni!
Non lo abbiamo mai capito, ma non è cattivo, semplicemente è influenzato in maniera spaventosa da chi ha accanto!
Spero che abbiate presente il divertentissimo film di Woody Allen in cui si presenta come un documentario la storia di un personaggio (di nome appunto Leonard Zelig) che si trasformava, anche fisicamente, in base alle persone che aveva vicino.

Beh dovevamo capirlo da molto tempo. Quando si trova in convegni di imprenditori e dice di essere uno di loro, quando è tra gli operai e dice di essere anch'egli un'operaio, perfino tra le casalinghe afferma di essere una casalinga. All'inizio di febbraio è stato in Israele ed alla Knesset, il parlamento israeliano, ha affermato che l'intervento compiuto da Israele a Gaza era stata una 'giusta reazione', poi, dopo poche ore, nel corso della conferenza stampa con il leader palestinese Abu Mazen, ha paragonato le vittime palestinesi di quella stessa operazione a quelle della Shoah. In parlamento sotto il malefico influsso leghista ribadisce l'importanza dei respingimenti, vara leggi che obbligano i medici a denunciare immigrati clandestini, afferma che "meno immigrati significa meno criminalità", ma in Tunisia invita a venire in Italia, afferma che lavoro, case, ospedali e scuole sono pronti per chiunque vorrà venire! 
Certo non arriva alla trasformazione fisica, lo Zelig italiano, si trasforma solo nel modo di pensare, nel carattere, ma il mutamento è davvero impressionante. Avevamo avuto tante avvisaglie, ma non ne avevo mai avuto una percezione netta prima di qualche giorno fa, quando, dopo essere stato in platea tra i carabinieri,
presso l'Aula Magna della Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, durante la cerimonia di inaugurazione dell'Anno Accademico, è uscito dalla sala ed ha dichiarato che i corrotti non sarebbero stati più tollerati, che avrebbe reso più severe le leggi anticorruzione!
Questa sua affermazione ha sorpreso molti, diverse leggi andavano nella direzione opposta, rendendo più difficile l'individuazione del reato (ad esempio limitando le intercettazioni) e depenalizzandone alcuni aspetti, ma il motivo è chiaro: in parlamento ci sono 22 condannati in via definitiva altri 80 condannati in primo grado o indagati, insomma in genere è in mezzo ai corrotti e quindi è normale che sia dalla loro parte. Dunque è bastata un'oretta con i carabinieri, in particolare nella scuola degli ufficiali dei carabinieri, quindi ancora giovani e puri, pieni di ideali, con la mente fissa sulla giustizia ed ecco che propone una novità sconvolgente che nessuno finora aveva osato: "inasprimento delle pene contro la corruzione".
Certo ora il problema è che questo provvedimento lo dovrà far approvare in parlamento. Ho subito temuto per il futuro di questo decreto, pensando che avrà di nuovo intorno le persone che lo "influenzano negativamente". Ho immaginato che magari esso avrebbe continuato ad essere chiamato anti corruzione, ma avrebbe finito per essere il suo contrario. Infatti è filtrata qualche voce, di come avevano iniziato a lavorarci: diminuendo alcune pene. Infatti Ghedini sta lavorando per portare la pena massima per corruzione giudiziaria da 8 a 6 anni. Per ora, comunque, la proposta è stata messa da parte,momentanemente sia chiaro!

Avrebbe dovuto scrivere il provvedimento prima di arrivare in parlamento! Mandarlo tramite corriere, tenersi lontano da quel luogo di perdizione, arrivarvi contornato, schermato oserei dire, da un muro di persone di provata moralità.

Proporrei che cambi frequentazioni, che non stia vicino a personaggi dubbi quali Cosentino, Dell'Utri, Previti ecc. (sarebbe veramente troppo lungo elencarli tutti). Forse dovrebbe frequentare di più giovani puri, pieni di ideali (non giovani ragazze disposte a tutto per divenire famose), passare del tempo con i tanti lavoratori onesti di questo paese, quelli che sono onesti per convinzione, non perché non hanno avuto occasione di fare altrimenti, dovrebbe frequentare coloro che pagano le tasse invece che gli evasori, invece che i mafiosi le vittime della mafia, magari andare a cena con Salvatore Borsellino, provare addirittura a stare in mezzo ai giudici e sarebbe interessante, a quel punto, sentire il suo discorso in loro difesa, udirlo tessere le loro lodi ed infine sentirlo lamentarsi degli attacchi che la magistratura subisce quotidianamente da parte dei politici!  

giovedì 18 febbraio 2010

100 anni fa’


Voglio fare una breve analisi di cosa c'era e non c'era cento anni fa. Attraverso questo ragionamento voglio solo rendermi conto di cosa abbiamo raggiunto, cosa si è instaurato e cosa è stato demolito, ed, eventualmente, cosa abbiamo perso nell'arco di cent'anni.

Dunque. Cento anni fa non c'era la televisione. Questa è la prima cosa che mi viene in mente, dal momento che fa così tanto parte della vita della gente. Non c'era il telefono così come lo conosciamo oggi, ma neppure come lo conosciamo a partire dalla metà del secolo scorso. Infatti era appannaggio di pochi; vent'anni fa non c'erano i telefoni cellulari (i primi già si mostravano, ma erano poco meno che mattoni, ricordo che erano enormi e costosi, con antenne di 30 o 40 centimetri). Cento anni fa non si poteva ancora partorire in sicurezza, la medicina era molto indietro, ma lo sviluppo industriale cominciava con l'inquinamento ambientale, e si può dire che da qualche anno si cominciava a fare dei danni a quel livello. I lavoratori non avevano diritti (come oggi). I sindacati erano ancora lontani (come oggi), e chi aveva soldi voleva tenerseli stretti e, semmai, farne sempre di più, senza curarsi troppo del modo (come oggi). Una quarantina di anni fa, attraverso una strenue lotta della classe operaia, che affonda le sue radici negli albori della storia, conoscendo soprattutto sconfitte, abbiamo ottenuto il riconoscimento a diritti inviolabili, come ad esempio un salario dignitoso, che sono saltati negli ultimi dieci anni. Oggi essere iscritto ad un sindacato rappresenta un ostacolo, in alcuni settori più che in altri, che impedisce l'affermarsi del diritto alla crescita professionale del lavoratore; quand'anche non fornisca un pretesto per trattarlo con discriminazione penalizzandolo gravemente con orari infami o lavori degradanti senza rotazione, viene visto dal padrone con sospetto, come fosse una minaccia di cui sbarazzarsi alla prima occasione.

Cento anni fa, non c'erano le automobili, inteso come bene diffuso, alla portata di tutti. Ancora si andava col calesse, chi lo aveva, ma i poveri a piedi, e i poveri più fortunati in bicicletta. Non c'era un'aspettativa di vita molto lunga, ma spesso, vivendo di stenti, mi chiedo se non fosse una fortuna. L'alternativa era essere ricchi, ma anche qui, il denaro non poteva comprare cure che ancora non c'erano. Per cui si viveva per meno tempo. Ma c'è da precisare che tante malattie erano meglio tollerate e combattute, da un fisico sano, fisico di persona che non deve patire la fame o vivere nella sporcizia.

Cento anni fa c'era Antonio Gramsci, oggi abbiamo Massimo D'Alema. Cento anni fa non c'era il festival di San Remo, e chi si provava a fare una politica a favore dei lavoratori... beh, erano cavoli amari. Le donne non avevano il voto. C'era la monarchia. Non c'era il fascismo – mancava poco – che invece oggi c'è, anche se in forma diversa dal ventennio. Infatti è una delle forze negative che si sa adeguare ai tempi, dissimulandosi, trovando nuove forme, eludendo la critica di menti deboli attraverso canali di propaganda sottili e studiati, che ti fanno mandare giù la cacca anche se è amara, ma solo perché di un altro colore. Si è appropriato dell'azzurro, senza però abbandonare il nero della sua anima. Gli emigranti eravamo noi, poveri in canna in cerca di lavoro all'estero. Non so per quanto riguarda la corruzione, ma sicuramente il livello più sviluppato lo abbiamo raggiunto ai tempi nostri. Il reticolo affaristico/politico/mafioso/imprenditoriale, così come lo conosciamo (?) oggi, cent'anni fa non c'era. Ma qualcuno mi dica se sbaglio.

Non c'era l'energia nucleare, non c'era la plastica (viene ipotizzata nel 1920 – da Wikipedia), ma c'era quella voglia di fare male agli altri che ha permeato continuamente le vicende umane. Si potrebbe dire che, a parte qualche dettaglio, non è cambiato nulla, dal punto di vista umano. Appena ha potuto, chi di dovere, ha smantellato tutte le conquiste positive raggiunte da parte della collettività. Poiché tali conquiste, lo ponevano qualche gradino in meno al di sopra degli altri, e non sia mai! Qui entrano in ballo i dettagli di cui sopra, per nulla irrilevanti. Adoperati coscientemente e scientificamente da alcune lobby, hanno contribuito a domare gli animi ed a sedare lo spirito critico contenuto in essi. Si prospetta, se non ci si da da fare, la nascita di generazioni votate alla sottomissione. E con la manovra della manipolazione storica, nessuno potrà venire a conoscenza delle lotte fatte per la libertà.
Voglio chiudere questo post con l'adesione all'editoriale di Antonio Padellaro su "il Fatto Quotidiano" di martedì 16 febbraio. Anche io sono indignato per come vengono trattati bambini di un asilo, imbacuccati nei loro cappottini, dentro ad un'aula di una scuola materna senza riscaldamento, portato alla luce da un inchiesta di "Presa Diretta", il programma di RAI3, andato in onda domenica 14 febbraio scorso. Anche io mi chiedo: dov'è la civiltà di questa politica di tagli indiscriminati? E l'opposizione va al festival. Almeno 100 anni fa' non c'era, il festival.

domenica 14 febbraio 2010

I tempi nostri, nostri...


Sono convinto che a noi, di quello che sta realmente accadendo, venga detto, si e no, un decimo. Oramai, da Berlusconi a D'Alema, da Marrazzo a Bertolaso, passando per tutte la boutade del presidente del consiglio con relative smentite, e smentite delle smentite; l'unica cosa che si capisce chiaramente, che dovrebbe essere nitida anche al più imbecille degli italiani, è il traffico affaristico che c'è dietro al teatrino messo su da costoro. La mia unica speranza è che almeno la magistratura faccia il suo dovere. Resta comunque il buco, anzi l'abisso legislativo ed ancor più istituzionale in cui ci hanno condotto. Dalle dichiarazioni di Montezemolo -"la fiat non ha preso un euro dal governo"- a quelle di Marchionne, che vuole recidere il "ramo secco" di Termini Imerese, ed ora con lo scandalo annunciato (non per vantarmi, anzi, è da molto che giravano anche i filmati su Youtube) anche in un mio vecchio post, sulla Maddalena, che coinvolge al Protezione Civile. La vergognosa ricaduta affaristica del terremoto de L'Aquila non la voglio tirare in ballo perché è troppo disgustosa. L'articolo di Giuseppe D'Avanzo su La Repubblica, spiega molto bene il perché Bertolaso si dovrebbe dimettere senza indugi, senza aspettare il consenso di alcuno. Eppure la trasparenza in Italia continua a non essere di casa.

Che dobbiamo fare? C'era bisogno di Mieli, ad Annozero, per farci capire che sta per saltare il tappo? Non lo sappiamo già da almeno un anno e mezzo? Già da prima, cioè, che iniziasse la crisi? Eppure i segnali c'erano, e hanno intensificato il loro influsso man mano che passava il tempo. Vorrei tanto (ingenuo, ricordate?) che la gente cominciasse a comportarsi bene gli uni con gli altri. Già questo sarebbe un inizio per una presa di coscienza.

L'altro giorno, stavo andando in pausa pranzo, chiudo la mia postazione (lavoro in un supermercato), e mentre mi incammino verso il corridoio centrale, una signora con sguardo altero e superiore, fa per uscire proprio di lì, nonostante sbarra e catenella ad impedire il passaggio. -"Signora, scusi, non si può passare per questa cassa, per uscire c'è l'apposita uscita senza acquisti. Se i miei superiori dovessero vederla mentre io sono ancora qui, mi sgriderebbero sicuramente..." Lei –"Pazienza!" e passa quasi non degnandomi di uno sguardo. In Italia le regole è bello infrangerle... Anche se preferirei infrangere il culo - con una pedata - di quelli che le infrangono! Questo è un comportamento largamente diffuso, che non tiene conto della ricaduta che ha anche su coloro che lo applicano. Ed è generato proprio da quell'ignoranza civica di cui si parla nel post di Obbie. Infrangere le regole è diventata una cosa da furbi, di cui vantarsi: "E' insostenibile che sulle spalle di una maggioranza silenziosa, al limite del lassismo (lo si rischia quando si accettano supinamente azioni orribili provenienti da obiettivi ancora più orribili come quella di frodare gli altri cittadini negando la giusta imposizione fiscale) una minoranza si elevi a "parte furba e intelligente". Bellissimo il lungo commento di Daniela.

martedì 9 febbraio 2010

La giusta dose di sano disprezzo


Qualche giorno fa ho visto un bel manifesto della CGIL che ricordava come chi non paga le tasse, a tutti gli effetti, sta scroccando i servizi e tutto ciò che è fornito dalla comunità.
Stanno scroccando a noi che le paghiamo!
In un gruppo in genere i comportamenti sono regolati anche tramite l'approvazione e la riprovazione sociale. In altre parole, se si percepisce che un certo comportamento non è approvato si tende a non attuarlo, ci si vergogna. Ora la maggior parte dei cittadini, in quanto dipendenti o pensionati pagano le tasse. Anche molti che non rientrano in queste categorie le pagano. Dunque gli evasori per quanto molti, troppi, sono comunque una minoranza. 
Una minoranza che guadagna di più e che paga di meno (e spesso non paga affatto)! 
Sicuramente vengono attaccati in molti proclami pubblici, ma, sotto sotto, si sentono furbi, sono considerati furbi, molte persone che le pagano pensano che anche loro, se potessero, non le pagherebbero. Insomma c'è qualcosa che non torna, una minoranza che dovrebbe subire l'influenza della riprovazione sociale della maggioranza, sta invece imponendo la propria etica (o meglio non-etica), avendo l'appoggio della maggioranza politica (che a parole dice di voler contrastare gli evasori, ma in realtà gli fa l'occhietto con varie leggi - quali i vari condoni, con il gran finale di quella sul rientro dei capitali - e con dichiarazioni giustificative) finisce per sentirsi anche nel giusto!
Ci sono poi coloro che non rispettano le regole... per principio! La casta prima di tutto, ma anche tanti che vi ruotano intorno e che sanno di poter godere di impunità in molti comportamenti. Coloro che si ritrovano in posti di comando immeritatamente, ma che sanno che, grazie a quelle stesse conoscenze che li hanno portati in quella posizione, possono stare tranquilli, possono sfruttare il lavoro di chi sa fare ed appropiarsene. Ci sono coloro che, sempre grazie alle 'conoscenze', possono ottenere di scalare graduatorie, evitare liste di attesa, ottenere favori vari. E ci sono coloro che compiono ogni giorno centinaia di piccolole scorrettezze come parcheggiare nei posti riservati ai portatori d'handicap, salire sul marciapiede con il SUV impedendo il passaggio dei pedoni, non rispettare le file e mille altre cose che ci fanno indignare.
In gran parte tutti questi 'furbi' saranno gli stessi che scroccano i servizi e che dicevamo all'inzio. Ma tutti costoro, invece di sentire il peso della riprovazione sociale, si sentono furbi, si sentono tra coloro che guidano i giochi, perché, in fondo, chi dovrebbe reprimere questi comportamenti, far rispettare le regole, li tollera, è dalla loro parte.
Insomma ci hanno scippato anche questo strumento potentissimo, quello di far sentire in difetto chi lo è, hanno imposto la loro anti-etica ed invece di vergognarsi dei loro comportamenti sembrano vantarsene.

Credo che dovremmo riappropriarci al più presto di questo strumento, far sentire il peso della nostra riprovazione, nella giusta quantità. Non tanta da considerarli così distanti da non voler neanche comunicare con loro e non troppo poca da sembrare un buffetto, quasi l'ennesimo segnale di approvazione. Dobbiamo farla sentire sempre, in ogni occasione e non sentirci dei poveri fissati con le regole o illusi, non sentirci a nostra volta erroneamente, una minoranza, ma riuscire coinvolgere anche gli altri, la maggioranza che ci sta intorno e che è, deve essere, dalla nostra stessa parte.

È questione di massa critica, arrivati ad un certo punto diventa normale questo comportamento, diventa consueto che la maggioranza faccia sentire questa giusta giusta dose di riprovazione, scatta il senso di vergogna in chi è in difetto. Dobbiamo fare come una palla di neve che inizia a scendere e diventa sempre più grande attaccandosene altra.

Può sembrare un'illusione, ma provate pensare a quelle persone che, magari in Svizzera non si sognerebbero mai di buttare una cartaccia in terra e che invece in Italia lo fanno normalmente; a coloro che da noi cercano di passare avanti nelle file ed invece in altri paesi si incolonnano disciplinatamente. Sono piccole cose, ma aiutano a capire il meccanismo.

Ora stiamo accettando la LORO scala di valori, invece dobbiamo ristabilire il senso delle cose, dare peso all'etica.

Intanto mi pare un'ottima cosa questa di deridere (in attesa che si individuino e si facciano pagare) gli evasori e credo che sia interessante osservare chi invece si dissocia, chi non è d'accordo a considerali scrocconi, chi addirittura li giustifica.

giovedì 4 febbraio 2010

LA SOSTENIBILITA'



La terra non appartiene all'uomo, bensi' e' l'uomo che appartiene alla terra.
Lettera del capo indiano Seattle al presidente Usa Franklin Pierce

È la prima dichiarazione ambientalista che si conosca.
Il primo concetto di “sostenibilità” scritto e declamato.
Nel 1972 nacque il Club di Roma che produsse il celebre “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, meglio conosciuto come “Rapporto Meadows”, dal nome del professore del MIT che ne fu il co- autore.

Nell’aprile del 1968, un piccolo gruppo internazionale di professionisti provenienti dai campi della diplomazia, dell’industria, dell’accademia e della società civile si incontrarono in una villa di Roma, invitato dall’industriale italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King. A questo gruppo di professionisti fu chiesto di trattare il tema della crescente preoccupazione internazionale del consumo di risorse. Il rapporto Meadows mise a fuoco tali preoccupazioni e iniziò a dare qualche risposta. Nel 2008, dopo 40 anni dal primo Rapporto, il club di Roma ha
redatto un altro Rapporto “Una nuova strada per lo sviluppo internazionale” con uno spirito ancora più preoccupato sulle sorti del pianeta Terra.

Il pianeta non è infinito, e nemmeno le sue risorse, anzi lo sfruttamento depredante nato con la Rivoluzione industriale aveva cominciato a dare i suoi frutti marci, con inquinamento, carenza di risorse rinnovabili e una marea gigante di rifiuti.
Prima della Rivoluzione industriale, gli uomini ebbero il senso della scarsità, della limitatezza delle risorse rispetto alla portata delle proprie necessità. Tutto quello che era disponibile doveva essere usato, e nulla o quasi andava sprecato. Le tecnologie erano limitate e dunque i prelievi dalla natura erano altrettanto limitati, e il riuso di ciò che si aveva era una necessità. Il concetto di rifiuto è nato con la Rivoluzione Industriale, quando il ciclo della materia, l’uso delle risorse si è staccato dal senso profondo della Natura per collegarsi invasivamente alla rendita finanziaria e al profitto.
La Rivoluzione Industriale, cominciata alla fine del Settecento, ha fatto entrare l’umanità in un’altra logica, quella dello sfruttamento e dell’uso apparentemente illimitato di risorse rinnovabili. L’evoluzione delle tecniche ha permesso di andare sempre più veloci, sempre più in profondità.
Bastava scoprire e sfruttare. Ecco perché i rifiuti che crescevano parallelamente a una urbanizzazione selvaggia e desertificante sono diventati immondizie, fastidio. Il prefetto Poubelle impose a Parigi nel 1884 l’uso del bidone della spazzatura, per nascondere, sotterrare, o in ogni caso distruggere. Sparirono boschi, foreste e campi e relative creature animali ivi viventi, iniziò la desertificazione.

Serviva un controllo da parte dei Governi, leggi che proteggessero l’ambiente.

Nella ricca e florida Europa ci si ricorda ancora come sono nate le normative antinquinamento, a protezione dell’ambiente?
Emblematico fu il caso di Londra nel 1952, noto come "The Great Smog of London": dal 5 all’8 dicembre 1952, grazie anche alla presenza di una particolare condizione meteorologica denominata “inversione termica”, la capitale britannica fu avvolta da una coltre di smog che provocò la morte di 4000 persone in una sola settimana e alla fine il conto portò al numero altissimo di 12000 persone.
"Lo smog arrivò ovunque. A teatro la Traviata venne interrotta dopo il primo atto perché nella sala non si vedeva nulla, la gente camminava appoggiata ai muri non solo in strada ma perfino negli ospedali. In alcuni quartieri la nebbia era talmente fitta che le autorità consigliarono ai genitori di non uscire di casa insieme ai figli, c´era il rischio di perderli."

La risposta governativa fu il famoso Clean Air Act del 1956. Londra adesso è pulita.

Negli anni sessanta sorse il movimento ambientalista, annunciato dal libro del 1962 “Silent Spring” di Rachel Carson e sulla cui scia si inserì il Club di Roma.
L’allarme inquinamento e scarsità di risorse si amplificò negli anni successivi. I paesi industrializzati cominciarono ad analizzare gli effetti sinergici di incremento demografico globale, inquinamento, consumismo e scarsità di risorse. I paesi in via di sviluppo divennero il bidone delle immondizie dei paesi ricchi e contemporaneamente la loro riserva di risorse, facendo si che in questi paesi, poveri, privati delle risorse elementari quali per esempio l’acqua, credessero che solo la crescita economica e lo sviluppo potessero rispondere alla richiesta di miglioramento delle loro condizioni di vita.

La prima presa di coscienza della necessità di valutare i limiti del pianeta e quindi quelli della razza umana apparvero con la Commissione mondiale delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, la cosiddetta Commissione Brundtland (1987) che per due anni lavorò per provare a risolvere il conflitto fra tutela dell'ambiente e sviluppo economico. La commissione giunse alla conclusione che l'approccio allo sviluppo avrebbe dovuto mutare e divenire sostenibile, ovvero:
"Lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità"
Un’altra definizione “storica” fu quella formulata nel 1991 in “Caring for the Earth: A Strategy for Sustainable Living”:
“Lo Sviluppo sostenibile è il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che ci sostengono”
Nello stesso anno Herman Daly ricondusse lo sviluppo sostenibile a tre condizioni generali concernenti l'uso delle risorse naturali da parte dell'uomo:
· il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;
· l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso;
· lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo.
Tale definizione risulta essere la più usata perché meno antropocentrica e più oggettiva. Non a caso è anche riportata nel Rapporto Finale del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) del 18 maggio 2005 denominato “Indicatori per lo Sviluppo Sostenibile”.
La Conferenza di Rio de Janeiro o UNCED (United Nations Conference on Environment and Development, del 3-14 giugno 1992 stilò una Dichiarazione composta da 27 principi che delineò ulteriormente il concetto di Sviluppo Sostenibile, integrando i temi dello sviluppo (economico-sociale) e dell’ambiente.
Nel 1994, l'ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) fornì un'ulteriore definizione di sviluppo sostenibile:
“Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi
naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi”.
Nel 2001, l'UNESCO ampliò il concetto di sviluppo sostenibile indicando che "la diversità culturale è necessaria per l'umanità in quanto la biodiversità per la natura (...) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale". (Art 1 e 3, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001).
Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile o WSSD (World Summit on Sustainable Development) tenuto a Johannesburg, in Sud Africa, dal 2 al 4 settembre 2002 integrò le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale e la protezione ambientale.

Il Codice dell’ambiente, ovvero il Decreto Legislativo 152/2006 e successive modifiche, all’articolo 3-quater, parte prima, definisce lo sviluppo sostenibile ciò che garantisce il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future, nella prospettiva di salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane.

Come si può notare lo sviluppo sostenibile o la sostenibilità prevede sempre una crescita economica o almeno una sua stabilizzazione che corra parallelo alla protezione dell’ambiente. Ma la crescita indefinita mi ricorda il cancro maligno, perché tutto il resto su questo pianeta nasce cresce e muore, sostituendosi energeticamente con altre forme.

Questa teoria di sviluppo sostenibile come continua crescita ha trovato forti oppositori, primo tra tutti Serge Latouche, economista e filosofo francese, professore di Scienze economiche all'Università di Parigi che sostiene:
“Sviluppo sostenibile” sostiene che tale frase sia un’impostura, un ossimoro come dire - una luce oscura - dal momento che lo sviluppo, che l'unico sviluppo che noi conosciamo, è quello che è sorto nella seconda metà del 700 in Inghilterra, dalla rivoluzione industriale e cioè una guerra economica contro gli uomini e degli uomini contro la natura. E' impossibile chiedere allo sviluppo di essere "sostenibile", è contro la sua stessa sostanza.
Latouche è uno degli avversari più noti della occidentalizzazione del Pianeta e un sostenitore della decrescita conviviale e del localismo.

Anche Paul Hawken con il suo libro “Blessed unrest” (tradotto in Italia come “Moltitudine inarrestabile”) parla di sostenibilità, e lo fa delicatamente, dicendo che lo sviluppo sostenibile è dove non cresce la quantità di beni ma la capacità di goderne, e parla della “risposta immunitaria del pianeta” composta dagli attivisti ambientali, da chi si comporta con giudizio e buon senso e rispetta l’ambiente. Da tutti noi. Se riusciamo a ritrovare il libretto delle istruzioni dell’utilizzo del pianeta dove pare che si dica “non avvelenare l’acqua, il suolo, l’aria e non toccare il termostato”, saremo salvi.
E lui è ottimista.

martedì 2 febbraio 2010

Il "peso" della cultura

Mi ricordo (tanto tempo fà, aimè) di quando andavo a "squola"!.

Mi ricordo (sempre tanto tempo fà, ri-aimè) dei libri che "dovevo" portare a scuola.





Una semplice cinghia elastica a striscie colorate, con fibia metallica che malfunzionava, avvolgeva un "semplice" diario ed un paio di libri.

(ora hanno trolley che ci vuole la patente "C", oppure zaini con bagno incorporato, diari tridimensionali con computer ed antenna satellitare, tutto ovviamente "griffato")

A seconda delle materie che si svolgevano in classe quel giorno, il peso variava.
Ma al massimo erano tre libri.
Diciamo tre chili, se c'era "Epica" (il libro di testo più voluminoso).
Le penne e le matite le lasciavo in aula.

Ok, a quei tempi nessuno toccava la "roba" d'altri!

Oggi sono andato a "recuperare" mia figlia a scuola.

Mi viene incontro curva come un somaro sotto il peso dello zaino, che, andandogli incontro, gli levo dalle spalle e me lo "sobbarco" fino allo scooter per il ritorno a casa.

Porca maremma scolastica, se pesa!

Dopo essermi "districato" tra innumerevoli SUV guidati da rincoglionite mamme al telefonino, che sparlottano del più e meno, bloccando completamente la già congestionata unica strada, che spendono più di centomila euro per comprare venti tonnellate di ferro per portare a casa trenta chilogrammi di asino di figlio, mi avvio verso casa.







Arrivato a casa, per curiosità, lo peso:

Undicichilisettecentogrammi.

Vabbè', mi direte, chissà quale "cultura" intrattiene tale zavorra.

Un cazzo!!!!!!!

Facendo un veloce calcolo della cultura generale che avevo io alla sua età, e quella che, nonostante vada più o meno bene a scuola, ha lei ora, mi rendo conto che nonostante il "peso" che si trascina dietro ogni giorno, è indietro in maniera oserei dire allarmante!

Faccio un esempio semplice semplice:

figlia mia, chi è il presidente della repubblica?

"berlusconi"!






ora, dopo i primi minuti di sconcerto, e passata la voglia di ucciderla sciogliendola nell'acido, vado indietro nel tempo, per vedere se anche io avrei risposto in maniera "leggermente errata"!

NO'!
Il mio maestro elementare mi aveva spiegato chi erano i vari presidenti!
I miei professori di "licenza di media inferiore" mi avevano spiegato la differenza tra le varie "camere"!

Mi avevano insegnato, oltre a cose inutili tipo la capitale del gabon la data della morte di Tutankamon, quali erano le basi della nostra "civiltà moderna", la struttura della Repubblica, l'educazione civica, il rispetto per gli altri!

Ora non sanno una cippa!

Portano chili di carta inchiostrata per niente sulle spalle dalla mattina alla sera, ma non sanno una cippa!

Domanda:

è solo la mia di figlia (speriamo) oppure è una "malattia" nazionale?

meno male che adesso c'è la Gelmini, che sistema tutto, altrimenti chissà dove andremo a finire......






MAH!