martedì 30 novembre 2010

LA PASSIONE SECONDO SAVIANO


Ieri è finito “Vieni via con me”.
Mi mancherà Saviano, e i suoi monologhi pieni di passione a favore della forza dell’individuo.
Perché Saviano, scrittore e a quanto pare buca-schermo, parla a ognuno di noi.
Saviano ti domanda: “Perché ti fai trattare così, perché non ti riprendi la dignità?”
Non è un tecnico. Grillo, ottimo comunicatore e quindi grande professionista tecnico, dichiara discutibile il fatto che sia stata Endemol a costruire il programma di Fazio e Saviano Endemol è una ditta che appartiene anche a Berlusconi, e di conseguenza Saviano con il suo successo televisivo ha aumentato il fatturato di Berlusconi.
Non credo ci fossero altre scelte, siamo già in dittatura mediatica, però dentro la malattia-dittatura ci sono i ribelli, gli anticorpi, i cavalli di troia. E Saviano lo è stato.
Ha detto cose con una passione e una dolcezza che ti costringevano a stare fermo davanti allo schermo. Ad ascoltare le brutture di un Paese falsamente diviso tra nord e sud, in realtà tristemente unito dalle Mafie.
E se non ha parlato di quanto male fanno gli inceneritori è perché non è un medico, altro tecnico.
Non è comunista. Non è di destra e non è di sinistra, è Saviano.
Vauro lo trova logorroico. Lo capisco. Vauro è un passionario comunista, ma è anche il re della sintesi nelle sue vignette.
Non tutto si può semplificare, quindi Saviano amplia e specifica e ti guarda negli occhi, chiedendoti conto della tua personale responsabilità.
Non è un giornalista puntuale come Travaglio. Non fa nomi e cognomi, lui va oltre, per dirla alla Grillo. Lui parla a ognuno di noi, il suo non è un monologo ma un dialogo con le nostre coscienze.
I nomi li fanno i giornalisti puntuali precisi e professionali e ironici come Travaglio.
Non è Pino Daniele. Io adoro la musica di Daniele. Da sempre. Io sono una strana settentrionale che da sempre ascolta la voce di Napoli, perché è una voce colta, dalla musica classica napoletana (Murolo in primis), al teatro (De Filippo) al cinema (Troisi), anche se non sempre capivo tutto, soprattutto Troisi. Pino Daniele ha detto una frase sgradevole, ha detto che se la camorra non ha ucciso Saviano è perché non lo ritiene abbastanza pericoloso. Io che non capisco nulla di scorte e di camorra (ma la subisco anche qui nel territorio dell’estremo nord dell’Italia) mi domando come potrebbe uccidere Saviano senza uccidere una scorta di sette carabinieri.
Perché Pino Daniele ha detto questo?
Non credo che sia invidia (altri l’hanno ben dimostrata l’invidia verso Saviano), penso che sia piuttosto per Daniele l’appartenere a una generazione diversa, forse troppo sconfitta, quasi senza speranze.
Giustamente Saviano che è partito da Falcone là ritorna, ricordando che gli eroi buoni a quanto pare sono solo quelli morti. Ammesso che lui si senta eroe.
Ma intanto ha parlato, ha dialogato, ed è quello il pericolo che intravede la camorra, il risveglio individuale, il farsi largo alla possibilità di un cambiamento, di una dignità vera, da cittadino europeo.
Non è chiaro cosa tutti si aspettassero dallo scrittore scortato Saviano, ma di sicuro ha avuto un effetto che secondo me sarà un effetto domino.
Auguri Saviano, giovane colto appassionato uomo.
Ti auguro sommamente di poter avere quanto prima diritto a vivere la tua vita in modo normale.
Senza scorta. Un cittadino italiano che svolge Bene il proprio lavoro per allontanare il Male.
Come tanti di noi.

martedì 9 novembre 2010

LEZIONE DURISSIMA


Sono mezza veneta e mezza friulana, quindi assolutamente nordestina. Conosco queste genti, le loro caratteristiche, sia positive e sia negative.
Le caratteristiche positive sono la grande voglia di lavorare, costruire, ordinare il mondo dove si abita, la testardaggine con cui si riparte dopo ogni sconfitta, la costanza nel voler migliorare la propria condizione economica.
Qui sono nati grandi artisti, grandi scienziati e grandi intellettuali.
L’ultimo grande intellettuale italiano, uno che ha preso posizione e non ha mai tentennato, è nato qui, nel nordest, a Casarsa della Delizia (PN), era Pier Paolo Pasolini, friulano.
Le caratteristiche negative sono quelle che crescono nel brodo di coltura misto di provincialismo e bigotteria. Non dare importanza e valore allo studio e alla cultura, non imparare nulla dall’essere stati i primi emigranti italiani (qui c’era una povertà endemica nell’Ottocento e primi Novecento) sebbene i migranti abbiano portato indietro ricchezza economica e benessere, essere legati a tradizioni solo di facciata (“famiglia” e “chiesa” in primis).
In questo brodo di coltura la Lega ha trovato terreno fertile. Un popolo di “gnomi” ovvero capaci di eccellenze tecnologiche mondiali ma stitici di spirito, paranoici e paurosi di un “esterno” che venisse a portar via la pentola d’oro.
Eppure qui gli extracomunitari si integrano velocemente (imparano anche il dialetto), qui c’è la maggior percentuale di volontariato d’Italia.
I nordestini nella paura e nella chiusura hanno perso il senso della collettività vera (che io ricordo vagamente da piccola) e l’hanno sostituito con il senso della collettività falsa, televisiva, leghista dell’”essere veneti in Veneto” e del “parlare la lingua veneta”.
Si sono arroccati, si sono sentiti staccati, autorizzati dalla ricchezza economica, niente più li teneva uniti ai “romani” o ai “meridionali”.
Hanno costruito la loro ricchezza economica devastando un territorio bellissimo.
Laghi e fiumi, zone umide, risorgive, lagune e mare, insieme a montagne, colline, altopiani, carsismi, pianure con i loro splendidi habitat naturali, ricchi di specie faunistiche e floristiche.
E poi il paesaggio dell’uomo, spettacolari città d’arte come Verona, Vicenza, Padova, Venezia e Treviso a cui si aggiungono una miriade di altre piccole cittadine, collegate tra loro da storiche infrastrutture sia su suolo che acquee.
Se dall’alto si osservano i territori del Veneto e del Lazio e della Campania non si riesce a distinguere nulla. Una conurbazione urbana continua, uno sfruttamento del suolo che sembra tutto identico, e senza scopo. Eppure in Veneto il condono ha sanato tutto, è tutto regolare. Le leggi in Veneto hanno fatto diventare lecito ciò che lecito non era affatto.
Era lecito consumare suolo agricolo senza riflessioni programmatorie, impermeabilizzare e costruire anche in aree golenali, deviare corsi fluviali, non fare manutenzioni sufficienti sulla rete idrologica, sradicare boschi e foreste, inquinare in nome di un “progresso” imbecille che è arrivato, forse, al punto di non ritorno?
Al punto che l’ambiente non è più in grado di rigenerare le risorse.
È arrivata la pioggia d’autunno, d’autunno spesso piove tanto. e se poi aggiungi la combinazione dello scirocco (anche questo autunnale) siamo all’attuale situazione.
Un Veneto allagato, rovinato dall’acqua che nulla può fermare, se non un diverso uso del territorio.
E come sempre i veneti si sono messi subito a ripulire, sistemare, salvare il possibile. Sono grandi lavoratori i veneti, e non amano discutere se devono affrontare una emergenza, non sono abituati a lamentarsi.
Ma è successa una cosa nuova.
Mentre i veneti erano alluvionati, nessun media si occupava di loro (solo La7), se non in ritardo. Non si sapeva che c’erano 5000 sfollati solo in provincia di Padova, tre morti e un disperso. E nulla dei danni ambientali ed economici.
Spariti i veneti dal contesto mediatico, proprio come i meridionali?
Dove erano le camicie verdi? Avrebbero dovuto accorrere in massa a salvare gli altri padani.
Solo la desolata faccia di Zaia a La7 che chiedeva aiuto allo Stato.
A seguire la minaccia degli industriali vicentini di non pagare le tasse allo Stato se questo non dava aiuti.
È ricomparsa la parola Stato in bocca ai veneti che se ne erano allontanati così tanto da stuzzicare gli spiriti di www.spinoza.it a spararne sul fatto che i leghisti adesso vanno in gommone come gli immigrati, oppure che hanno montato il MOSE al contrario, oppure che, e questa è indicativa, “chiedono aiuto ma nessuno li capisce”.
Peccato che il concetto di Stato ricompaia solo con le disgrazie.
Spero che il senso dello Stato riprenda vigore anche qui nel nordest e con esso il senso della realtà. Una realtà fatta di un ambiente che non ha risorse infinite.
Si vada a vedere un eccellente lavoro di Nicola Dall'Olio, un film documentario in concorso al festival Cinemambiente 2010, dove ha ottenuto una menzione speciale, intitolato “Il suolo minacciato”.

giovedì 4 novembre 2010

Del Vangelo e altre questioni morali

Anche qui, recensendo un libro, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, ho tratto lo spunto per un nuovo post; visto che le vicissitudini socio politiche abnormi e deprimenti italiane mi spingono a riflettere…
Che cosa fa di noi dei buoni cristiani?
Certamente essere coscienti dei limiti terreni del nostro corpo ci induce a comportarci in una certa maniera, ma non per tutti, questa maniera è uguale. C’è chi, ad esempio, sentendo di non avere, dopo la morte, nessuna altra vita a disposizione, crede di avere il diritto di comportarsi come meglio gli aggrada; crede che facendo tutto quello che gli passa per la testa, avrà, per lo meno, soddisfatto le sue voglie e morirà tranquillo e appagato. C’è invece chi, anche non credendo nello spirito, ritiene di dover rispettare tutte le altre persone, le regole e le leggi del vivere civile; chi si spinge ancor più in là, e vuole preservare la natura e rispettare pure gli animali, e l’ambiente in cui viviamo, noi e loro. E che dire di quelli che, ferventi cristiani cattolici, uccidono, rubano, spesso membri di organizzazioni mafiose, trovano giustificazioni quanto meno fantasiose per i loro delitti? Nulla. Certo condanniamo, ma non risolviamo il problema legato strettamente alla coscienza che ognuno di noi ha di un certo fatto, comportamento, modo di agire.
Spesso si dice “incoscienza”, ma non è così. E’ una coscienza diversa, che deriva da una mancanza oggettiva, e spesso dovuta ad una mancanza di mezzi per raggiungerla, da una coscienza empatica, la sensibilità della persona verso fatti che non la riguardano da vicino, che le permettono di intercalarsi nelle vicissitudini altrui, per far si che i problemi di uno siano anche i problemi di tutti, e nel far questo ci si adoperi nel trovarne la soluzione che permetterà  a tutta la specie, ed all'ambiente che la ospita, di preservarsi.
Spesso, nella mia vita, ho cambiato idea sulla divinità, questo soprattutto in gioventù; ma anche ora mi interrogo sovente. Farò bene? Farò male? Nessuno può dirlo, nessuno. E’ però assolutamente legittimo. Con il libro “Il Vangelo Secondo Gesù Cristo”, Saramago pone, o meglio, io credo che ponga, l’Uomo di fronte ad un quesito importante: come vivere la propria vita cessando di essere succubi del sentire comune, liberandosi delle catene che sono le usanze e le dottrine, i dogmi, il pensiero dominante?
Noi siamo ciò che mangiamo e l’ambiente dove cresciamo, ma se ci vengono dati i mezzi, o i giusti impulsi, anche in ambito familiare, possiamo sviluppare una coscienza empatica che ci permetterà di avere un senso critico, non ci lasceremo sedurre dall'accidia del non far nulla quando vedremo un’ingiustizia, anche se non è fatta a noi in persona.

Ed è in quest’empatia con Gesù che si gioca la storia di questo libro; con l’empatia che si ha verso Giuseppe sin dall’inizio del libro, che apre ad un vecchio modo di concepire il rapporto tra gli uomini e le donne, ottuso e maschilista, e di questi con la Divinità, ermetica ed incurante del dolore che, spesso, provoca non senza una vena di piacere. Nello stravolgimento dei canoni cui siamo abituati sin dall’infanzia, riscopriamo una dimensione terrena, concreta, di Gesù, il quale deve misurarsi con una verità che si rivela, di molto, diversa da quella che ha imparato nelle sue frequentazioni alla sinagoga; così come è piuttosto diverso il racconto cui ci hanno abituato film e programmi dozzinali di indottrinamento, discorsi religiosi fatti da preti e papi di ogni tempo e luogo. Ma non lasciamoci ingannare dal discorso religioso. Il messaggio è che cercando di contrastare il volere di chi ha un potere immenso, sempre ci si trova a mal partito. L’unica scappatoia sarà quella di non accettare mai, fin dall’inizio, la regola che si impone a chi vuole seguire un idea ad ogni costo. Il fine non giustifica i mezzi quando il fine è un fine di sofferenza, ed a maggior ragione quando i mezzi infliggono una sofferenza, un tributo di sangue che, inevitabilmente, chiamerà altro sangue e sofferenza. Attraverso il racconto di emozioni concrete e di avvenimenti crudi ed a volte, oltre che crudeli anche efferati nel loro realismo, si smorza fino ad annientarsi, la favola del racconto di Natale, la tenerezza di un racconto che solo con l’ultimo film sull’argomento “La Passione di Cristo”, se ne è capita la gravità e la sofferenza.

Le masse non si emanciperanno mai? Anche questa è un altro interrogativo che si pone, visto che, fin dall’alba dei tempi, sempre ci sono state moltitudini che si uniformavano, allora come oggi, agli interessi di potenti che inculcavano con vari mezzi il pensiero unico. Non ci tragga in inganno il finale, che non me ne vogliate, qui svelo molto meno truculento, e dolce, rispetto a scene descritte in precedenza: suona un po’ come uno zuccherino dato dopo le bastonate inferte ad un cristiano, che vede svilito il nesso umano/divino per il quale dà la vita.  Mancano tante cose alle quali ci hanno abituato anni di indottrinamento, ed altre sono solo accennate, come cosa di poca importanza. Ma la cosa strana è che non se ne sente la mancanza; la spinta finale, la morale che se ne trae, è quella che ci dovrebbe portare, per lo meno quelli che ancora neppure ci pensano, ad aprire gli occhi, a guardarsi attorno e trarre delle conclusioni proprie, prescindendo drasticamente dal pensiero maggioritario, non smorzare mai il senso critico, soprattutto verso cose che ci stanno a cuore: occupiamoci di ciò che ci circonda con lo stesso impegno con cui ci occupiamo di noi stessi; e se non ci occupiamo bene di noi stessi, impariamo ad amare, ché non significa perseguire il successo personale con qualsiasi mezzo. Se fino a questo momento abbiamo amato qualcosa con tutti noi stessi, non vergogniamoci di ripudiarlo e denunciarlo se, dopo, ci appare in tutto il suo inganno.